Marzo 1821 appartiene alla fase poetica manzoniana di ispirazione civile e patriottica, insieme a Aprile 1814 (sul tremendo linciaggio da parte della folla milanese del ministro delle finanze Giuseppe Prina, alla caduta del Regno d’Italia nell’aprile del 1814) Il proclama di Rimini (che rievoca l'appello all’indipendenza della penisola lanciato da Gioacchino Murat, fedelissimo di Napoleone ed ex re di Napoli) e Il cinque maggio, in cui si ricorda la figura del grande generale francese.
Questa ode venne scritta tra il 15 ed il 17 marzo del 1821, sull’onda dell’entusiasmo per il probabile intervento sabaudo (Vittorio Emanuele I il 13 marzo aveva abdicato in favore del fratello Carlo Felice, e il reggente Carlo Alberto di Savoia aveva manifestato simpatie per gli insorti). Tuttavia, Carlo Alberto tolse presto l’appoggio ai moti piemontesi, stroncando sul nascere le speranze e le illusioni che potesse unirsi alle forze lombarde per liberare il Nord Italia dal dominio austriaco.
Secondo alcune fonti, la lirica venne distrutta in seguito ai fallimenti dei moti e per evitare possibili ritorsioni austriache (la battaglia di Novara, in cui gli insorti piemontesi sono sconfitti dalla truppe lealiste austriache, è dell’8 aprile 1821). Manzoni avrebbe poi riscritto a memoria l’ode per pubblicarla nel 1848, durante le Cinque giornate di Milano (18-22 marzo), come sintesi ideale tra i due momenti di lotta per l’indipendenza nazionale. L’ode è introdotta da una articolata dedica al poeta e patriota tedesco Karl Thedor Koerner 1, morto durante la battaglia di Lipsia (16-19 ottobre 1813), detta anche “battaglia delle Nazioni” e considerata (oltre che la battaglia che causò la prima caduta di Napoleone e il suo esilio all’isola d’Elba) una fondamentale affermazione dell’identità nazionale tedesca contro l’oppressione napoleonica.
Metro: strofe di otto decasillabi piani, tranne il quarto e l’ottavo tronchi, rimati secondo lo schema ABBCDEEC (come si vede, il primo e il quinto verso sono liberi, cioè non rimati; rimano tra loro solo nella prima strofe).
- Soffermati sull’arida sponda,
- volti i guardi al varcato Ticino,
- tutti assorti nel novo 2 destino,
- certi in cor dell’antica virtù 3,
- han giurato 4: non fia che quest’onda 5
- scorra più tra due rive straniere 6:
- non fia loco ove sorgan barriere
- tra l’Italia e l’Italia, mai più!
- L’han giurato 7: altri forti a quel giuro
- rispondean da fraterne contrade 8,
- affilando nell’ombra le spade
- che or levate scintillano al sol.
- Già le destre hanno strette le destre;
- già le sacre parole 9 son porte;
- o compagni sul letto di morte,
- o fratelli su libero suol.
- Chi potrà della gemina Dora 10,
- della Bormida al Tanaro sposa,
- del Ticino e dell’Orba selvosa
- scerner l’onde confuse 11 nel Po;
- chi stornargli del rapido Mella
- e dell’Oglio le miste correnti,
- chi ritorgliergli i mille torrenti
- che la foce dell’Adda versò 12,
- quello ancora una gente risorta
- potrà scindere in volghi spregiati 13,
- e a ritroso degli anni e dei fati,
- risospingerla ai prischi dolor;
- una gente che libera tutta
- o fia serva tra l’Alpe ed il mare;
- una d’arme, di lingua, d’altare,
- di memorie, di sangue e di cor 14.
- Con quel volto sfidato e dimesso,
- con quel guardo atterrato ed incerto
- con che stassi un mendico sofferto
- per mercede nel suolo stranier,
- star doveva in sua terra il Lombardo 15:
- l’altrui voglia era legge per lui;
- il suo fato un segreto d’altrui;
- la sua parte servire e tacer.
- O stranieri, nel proprio retaggio
- torna Italia e il suo suolo riprende;
- o stranieri, strappate le tende
- sa una terra che madre non v’è 16.
- Non vedete che tutta si scote,
- dal Cenisio alla balza di Scilla 17?
- Non sentite che infida vacilla
- sotto il peso de’ barbari piè?
- O stranieri 18! sui vostri stendardi
- sta l’obbrobrio d’un giuro tradito;
- un giudizio da voi proferito
- v’accompagna a l’iniqua tenzon;
- voi che a stormo gridaste in quei giorni:
- Dio rigetta la forza straniera;
- ogni gente sia libera e pèra
- della spada l’iniqua ragion.
- Se la terra ove oppressi gemeste
- preme i corpi de’ vostri oppressori,
- se la faccia d’estranei signori
- tanto amara vi parve in quei dì 19;
- Chi v’ha detto che sterile, eterno
- saria 20 il lutto dell’itale genti?
- chi v’ha detto che ai nostri lamenti
- saria sordo quel Dio che v’udì?
- Sì, quel Dio che nell’onda vermiglia
- chiuse il rio 21 che inseguiva Israele,
- quel che in pugno alla maschia Giaele
- pose il maglio ed il colpo guidò 22;
- quel che è Padre di tutte le genti,
- che non disse al Germano giammai:
- va, raccogli ove arato non hai;
- spiega l’ugne; l’Italia ti do.
- Cara Italia! dovunque il dolente
- grido uscì del tuo lungo servaggio;
- dove ancor dell’umano lignaggio
- ogni speme deserta 23 non è:
- dove già libertade è fiorita,
- dove ancor nel segreto matura,
- dove ha lacrime un’alta sventura,
- non c’è cor che non batta per te.
- Quante volte sull’alpe spïasti
- l’apparir d’un amico stendardo 24!
- Quante volte intendesti lo sguardo
- ne’ deserti del duplice mar!
- Ecco alfin dal tuo seno sboccati,
- stretti intorno ai tuoi santi colori,
- forti, armati dei propri dolori 25,
- i tuoi figli son sorti a pugnar.
- Oggi, o forti, sui volti baleni
- il furor delle menti segrete:
- per l’Italia si pugna, vincete!
- Il suo fato sui brandi vi sta.
- O risorta per voi la vedremo
- al convito dei popoli assisa,
- o più serva, più vil, più derisa
- sotto l’orrida verga 26 starà.
- Oh giornate del nostro riscatto!
- Oh dolente per sempre colui
- che da lunge, dal labbro d’altrui,
- come un uomo straniero, le udrà!
- Che a’ suoi figli narrandole un giorno,
- dovrà dir sospirando: «io non c’era»;
- che la santa vittrice 27 bandiera
- salutata quel dì non avrà.
- Fermi sulla sponda asciutta,
- con gli sguardi rivolti al Ticino appena superato,
- tutti assorti nel nuovo e straordinario destino,
- sicuri nel cuore dell’antico valore,
- hanno giurato: non sarà più che il Ticino
- scorra come confine tra due stati diversi;
- non ci sarà un luogo dove sorgeranno confini
- tra Italia e Italia, mai più!
- L’hanno giurato: altri valorosi a quel giuramento
- rispondevano da luoghi fraterni,
- affilando le spade di nascosto
- che, una volta alzate, scintillano al sole.
- Tutti si sono stretti la mano destra a vicenda;
- le parole del giuramento sono pronte;
- o compagni sul letto di morte,
- o fratelli sul suolo libero da oppressori.
- Chi potrà distinguere le acque delle due Dore,
- della Bormida che si unisce al Tanaro,
- del Ticino e dell’Orba ricca di boschi
- che si uniscono nel Po;
- chi [potrà] togliere le acque già mischiate
- del Mella e dell’Oglio,
- chi potrà togliere le acque dei numerosi
- torrenti che si versano nella foce dell’Adda,
- quello potrà anche dividere un popolo risorto
- in masse disprezzate ed anonime,
- e riportarla, indietro con gli anni ed il destino,
- agli antichi dolori della servitù;
- una gente che sarà interamente libera
- o sarà serva tra le Alpi ed il mare;
- unita nelle armi, nella lingua, nella religione,
- nelle tradizioni, nella stirpe e nel sentimento.
- Con quel viso sfiduciato e dimesso,
- con quello sguardo rivolto verso il basso
- ed insicuro con cui sta un mendicante tollerato
- per pietà in terra straniera,
- così doveva stare il Lombardo in Lombardia:
- la volontà altrui era la legge per lui;
- il suo destino un segreto di altri,
- il suo compito era obbedire e tacere.
- O stranieri, l’Italia torna nella sua legittima
- eredità e si riprende il suo territorio;
- O stranieri, togliete le tende
- da una terra che non è vostra madre.
- Non vedete che è tutta in ribellione
- dalle Alpi all’estremità della penisola?
- Non sentite che si scuote divenendo insicura
- sotto la dominazione straniera?
- O stranieri! Sui vostri stendardi è presente
- la vergogna di una promessa tradita;
- un giudizio pronunciato da voi
- vi accompagna alla battaglia ingiusta;
- voi che gridaste in quei giorni tutti insieme:
- Dio rigetta la dominazione straniera;
- ogni popolo sia libero e abbia fine
- il perverso diritto del più forte.
- Se la terra dove gemeste oppressi
- copre i corpi dei vostri oppressori,
- se la faccia dei dominatori stranieri
- vi risultò tanto amara quei giorni;
- chi vi ha detto che sterile ed eterno
- sarebbe stato il pianto degli italiani?
- Chi vi ha detto che ai nostri lamenti
- sarebbe stato sordo quel Dio che ascoltò voi?
- Sì, quel Dio che chiuse nell’onda
- del Mar Rosso l’empio che perseguitava Israele,
- quello che pose in mano all’eroina Giaele
- il martello e guidò il colpo;
- quello che è padre di tutte le genti,
- che non disse ai tedeschi mai:
- Vai, prendi pure dove non hai seminato;
- prepara gli artigli; ti concedo l’Italia.
- Cara Italia! Da ogni parte uscì il tuo grido
- di sofferenza per la lunga schiavitù,
- dove ancora non è spenta
- ogni speranza della stirpe umana:
- dove già la libertà è fiorita,
- dove ancora si prepara in segreto,
- dove suscita pietà una gran sventura.
- non c’è cuore che non batte per te.
- Quante volte dalle Alpi cercavi di scorgere
- l’arrivo di uno stendardo amico!
- Quante volte volgesti lo sguardo
- verso le superfici deserti dei tuoi due mari!
- Ecco infine, usciti improvvisamente da te,
- vicini ai colori della tua venerabile bandiera,
- forti, armati della forza morale della schiavitù,
- i tuoi figli si sono alzati per combattere.
- Oggi, o valorosi, passi come un lampo
- sui visi la forza dei piani segreti:
- per l’Italia si combatte, vincete!
- Il suo destino sta adesso sulle vostre spade.
- O la vedremo risorta grazie a voi
- e seduta accanto alle altre nazioni,
- oppure ancora più serva, più vile, più derisa
- sotto lo scettro orrendo di dominatori stranieri.
- Oh giornate del nostro riscatto!
- Oh dolente per sempre colui
- che da lontano, da parole altrui,
- come un uomo straniero, sentirà queste notizie!
- E che raccontando un giorno ai suoi figli
- dovrà dire sospirando: “Io non c’ero”;
- [dovrà dire] che non avrà salutato quel giorno
- la santa bandiera vincitrice.
1 “ALLA ILLUSTRE MEMORIA | DI | TEODORO KOERNER | POETA E SOLDATO | DELLA INDIPENDENZA GERMANICA | MORTO SUL CAMPO DI LIPSIA | IL GIORNO XVIII D’OTTOBRE MDCCCXIII | NOME CARO A TUTTI I POPOLI | CHE COMBATTONO PER DIFENDERE | O PER CONQUISTARE | UNA PATRIA”. Theodor Koerner (1791-1813) era poeta noto per commedie, tragedie e per la raccolta di versi Lira e spada, pubblicata postuma un anno dopo la morte.
2 novo: il latinismo indica l’attesa di un futuro e di un destino nuovi ed eccezionali, con una tensione insomma al cambiamento radicale della propria situazione.
3 antica virtù: il tema dell’antico valore è ripresa del v. 95 della canzone All’Italia di Francesco Petrarca (Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno, vv. 95-96: “ché l’antiquo valore | ne gli italici cor’ non è anchor morto”).
4 han giurato: il verbo in forma esplicita (il passato prossimo dell’indicativo), a differenza dei precedenti participi passati (“soffermati”, v. 1; “volti”, v. 2; “assorti”, v. 3), serve a modificare il ritmo del verso, rendendolo più incalzante e partecipativo emotivamente. Manzoni sottolinea così anche la forza morale del giuramento dei patrioti.
5 quest’onda: sineddoche, cioè una figura retorica per cui si indica una parte per significare il tutto. Qui "onda" indica il Ticino, fiume che separa Lombardia e Piemonte.
6 tra due rive straniere: il poeta, nel suo appello, prova a calarsi in quello che avrebbero potuto pensare i soldati piemontesi al momento dello storico attraversamento del Ticino.
7 l’han giurato: viene ripreso il sintagma del v. 5 e posto qui ad apertura di strofa, in posizione forte.
8 fraterne contrade: luoghi abitati da connazionali, solidali con la lotta dei piemontesi per l’unità nazionale italiana. Il termine “fraterne” è da considerarsi in opposizione a “straniere” (v. 6). La prospettiva di Manzoni è quella del liberalismo romantico, per cui il diritto all’autodeterminazione dei popoli rientra nel grande disegno provvidenziale di Dio, e quindi non deve essere arrestato dalle scelte degli uomini.
9 sacre parole: le parole che verranno pronunciate nel giuramento dei versi seguenti (vv. 15-16).
10 gemina Dora: le due Dore, la Dora Baltea e la Dora Riparia.
11 onde confuse: le acque del Po costituite da diversi affluenti.
12 In questa strofe Manzoni immagina che le acque di diversi fiumi, dopo l’avvenuta unificazione del Nord Italia, saranno fuse ed indistinguibili le une dalle altre.
13 volghi spregiati: il termine “volgo” identifica una massa di individui non caratterizzati da una comune nazionalità (cultura, lingua e costumi); in tal senso, si oppone a “popolo”.
14 una d’arme, di lingua, d’altare, | di memorie, di sangue e di cor: I vv. 29-32 vogliono sottolineare, secondo la prospettiva risorgimentale di Manzoni, l’importanza dell’unità di intenti ideali del popolo e degli insorti, sotto i valori civili e culturali (le “memorie”, la “lingua”), bellici (l’”arme”), di fede (“d’altare”) e di passione nazionale (“di sangue e di cor”). Il ritmo incalzante è dato dall’accumulo di sintagmi in forma asindetica, secondo una climax ascendente.
15 Caratteristica di questa stanza è la similitudine tra un mendicante in terra straniera e chi abitava in Lombardia, costretto a chiedere “mercede” all’oppressore straniero.
16 madre non v’è: è il tipico tema, poi ereditato da tutto il filone della poesia risorgimentale, della patria come “madre” per i suoi patrioti fedeli.
17 dal Cenisio alla balza di Scilla: dal Piemonte, dove si trova il Moncenisio (in val di Susa), alla Reggio Calabria (Scilla si trova nei pressi dello Stretto). L’accenno in quest’ulitmo caso è ai moti scoppiati nel Regno delle Due Sicilie tra 1820 e 1821.
18 O stranieri: l’anafora ai vv. 41, 43 e 49 serve per enfatizzare il concetto e sottolineare l’accusa, rivolta contro le potenze straniere (Gran Bretagna ed Impero austriaco) che, in ottica antinapoleonica, avevano promesso un’illusoria libertà ai patrioti italiani.
19 Questi versi (vv. 57-60), fanno riferimento alla Germania oppressa dalla dominazione napoleonica. chiarendo così la dedica posto ad apertura dell’ode. In particolare si vuole ricordare la battaglia di Lipsia del 1813 tra l’esercito di Napoleone e le forze della sesta coalizione.
20 saria: forma di condizionale passato.
21 rio: il malvagio faraone che, secondo il racconto riportato nella Bibbia, inseguì il popolo d’Israele durante l’esodo dall’Egitto. Dio fece spalancare il Mar Rosso per consentire il passaggio degli ebrei e poi lo richiuse sull’esercito egiziano.
22 Si fa riferimento all’episodio biblico (Giudici 4, 17-21) in cui l’ebrea Giaele uccise Sisara, generale del re di Canaan e nemico d’Israele, piantandogli un chiodo in una tempia mentre quest’ultimo dormiva. L’esempio è esemplificativo per enfatizzare la forza d’animo che caratterizza gli oppressi nella lotta contro gli oppressori.
23 deserta: latinismo per “spenta, abbandonata”.
24 Ci si riferisce alla speranza, vana, dell’arrivo di Napoleone prima e delle potenze delle coalizioni antinapoleoniche poi quali possibili salvatori dell’Italia; la liberazione deve invece giungere dalla mobilitazione delle forze interne della nazione.
25 propri dolori: è un rimando - secondo la concezione che la sofferenza stimola le forze per spezzare l’oppressione - ai “prischi dolor” del v. 28 dell’ode.
26 verga: latinismo per “scettro”.
27 vittrice: altro latinismo, che è un buon segnale della sostenutezza stilistica dell’ode nel momento dell’appello finale patriottico alla liberazione dell’Italia.