In quest’ode, composta nella primavera del 1802, la guarigione dell’amica (e amante) contessa Antonietta Fagnani Arese si configura pretestuosamente come una celebrazione della bellezza, che - labile e precaria in questo mondo - riesce a tramutarsi nell’unico bene supremo ed eterno ("ristoro unico a’ mali") proprio grazie al valore sublimante della poesia. Non ci troviamo pertanto di fronte a un'ode esclusiavmente amorosa, quanto piuttosto a uno spunto d’occasione che, al di là dell’immediato riscontro autobiografico, nell’ideologia neoclassica di Foscolo è in grado di assicurare a quell’esaltazione, per il tramite della poesia, l’omaggio delle "future insubri nepoti". A ribadire il valore eternante del mito, una fitta tramatura di richiami alla classicità, di preziosismi stilistici e lessicali. La celebrazione di questi valori si assoccia, attraverso il richiamo alle Ore, al pensiero della fugacità della vita, le cui cupe tonalità sono però presto superate grazie all’esperienza estetica.
Metro: ode di sedici strofe, ciascuna formata da cinque settenari e un endecasillabo (schema abacdD). La misura del verso è spesso prolungata (e spezzata al tempo stesso) dai frequenti enjambements.
- Qual dagli antri marini
- l’astro più caro a Venere
- co’ rugiadosi crini
- fra le fuggenti tenebre
- appare, e il suo vïaggio
- orna col lume dell’eterno raggio 1.
- Sorgon così tue dive
- membra dall’egro talamo 2,
- e in te beltà rivive 3,
- l’aurea beltate ond’ebbero
- ristoro unico a’ mali
- le nate a vaneggiar menti mortali 4.
- Fiorir sul caro viso
- veggo la rosa 5; tornano
- i grandi occhi al sorriso
- insidïando 6; e vegliano
- per te 7 in novelli pianti
- trepide madri, e sospettose amanti.
- Le Ore 8 che dianzi meste
- ministre eran de’ farmachi,
- oggi l’indica 9 veste,
- e i monili cui gemmano
- effigïati Dei 10
- inclito studio di scalpelli achei,
- e i candidi coturni 11
- e gli amuleti recano
- onde a’ cori 12 notturni
- te, Dea, mirando obbliano
- i garzoni le danze 13,
- te principio d’affanni e di speranze.
- O quando l’arpa 14 adorni
- e co’ novelli numeri 15
- e co’ molli contorni
- delle forme che facile
- bisso 16seconda, e intanto
- fra il basso sospirar vola il tuo canto
- più periglioso; o quando
- balli disegni 17, e l’agile
- corpo all’aure fidando,
- ignoti vezzi sfuggono
- dai manti, e dal negletto
- velo scomposto sul sommosso petto 18.
- All’agitarti, lente
- cascan le trecce, nitide
- per ambrosia 19 recente,
- mal fide all’aureo pettine
- e alla rosea ghirlanda
- che or con l’alma 20salute April ti manda.
- Così ancelle d’Amore
- a te d’intorno volano
- invidiate l’Ore 21;
- meste le Grazie mirino 22
- chi la beltà fugace
- ti membra, e il giorno dell’eterna pace 23.
- Mortale guidatrice 24
- d’oceanine vergini,
- la Parrasia pendice
- tenea la casta Artemide 25,
- e fea terror di cervi
- lungi fischiar d’arco cidonio 26 i nervi.
- Lei predicò la fama
- olimpia prole; pavido
- diva il mondo la chiama 27,
- e le sacrò l’Elisio
- soglio, ed il certo telo,
- e i monti, e il carro della luna in cielo.
- Are così a Bellona 28,
- un tempo invitta amazzone,
- die’ il vocale Elicona;
- ella il cimiero e l’egida 29
- or contro l’Anglia avara
- e le cavalle ed il furor prepara 30.
- E quella a cui di sacro
- mirto te veggo cingere
- devota il simolacro,
- che presiede marmoreo
- agli arcani tuoi lari 31
- ove a me sol 32 sacerdotessa appari
- regina fu 33; Citera 34
- e Cipro ove perpetua
- odora primavera
- regnò beata, e l’isole
- che col selvoso dorso
- rompono agli euri e al grande Ionio 35 il corso.
- Ebbi in quel mar la culla,
- ivi erra ignudo spirito
- di Faon la fanciulla 36,
- e se il notturno zeffiro
- blando su i flutti spira,
- suonano i liti un lamentar di lira 37.
- Ond’io, pien del nativo
- aër sacro 38, su l’itala
- grave cetra 39 derivo
- per te le corde eolie,
- e avrai, divina, i voti
- fra gl’inni miei delle insubri 40 nipoti.
- Come dalle profondità del mare
- appare il pianeta più caro a Venere
- con i suoi raggi simili a chiome cariche di rugiada
- tra le tenebre che si dileguano,
- e abbellisce il suo cammino celeste
- con la luce del suo eterno raggio;
- così le tue divine
- forme sorgono dal letto dove giacesti
- malata e in te ritorna la bellezza,
- la splendida bellezza grazie alla quale
- le menti degli uomini, destinate a errare,
- ebbero il solo ristoro ai propri mali.
- Vedo tornare sul tuo caro viso
- il colore roseo; tornano
- a sorridere i grandi occhi,
- abili a sedurre; e a causa tua le madri preoccupate
- e le amanti insospettite sono prese da timore e restano sveglie,
- tormentate da nuovi pianti.
- Le Ore che prima mestamente
- erano le somministratrici delle medicine,
- oggi ti portano la veste pregiata,
- e i monili su cui splendono
- le effigi di divinità
- opera immortale di artigiani greci,
- e i candidi stivaletti da ballo
- e gli altri ornamenti
- a causa dei quali, vedendoti nelle danze notturne,
- i giovani dimenticano le danze
- intenti a contemplarti, o donna divina,
- che sei per loro causa di affanni e di speranze d’amore.
- Sia quando abbellisci il suono dell’arpa
- con nuove armonie e con i morbidi
- contorni delle tue forme che la stoffa aderente
- asseconda, e nel frattempo il tuo canto
- giunge più insidioso
- fra i sommessi sospiri;
- sia quando danzando
- disegni una serie di volteggi, e affidi
- all’aria il tuo agile corpo,
- sfuggono dalla veste e dal velo
- scomposto e trascurato sul petto
- ansante nascoste bellezze.
- Mentre ti muovi nella danza,
- cadono le trecce allentate, lucenti per gli unguenti
- profumati cosparsi di recente sul tuo corpo,
- mal tenute dal pettine d’oro
- e dalla ghirlanda di rose che Aprile ora ti invia
- insieme alla salute che ti infonde la vita.
- Così le Ore, come ancelle d’Amore,
- volano intorno a te,
- suscitatrici di invidia;
- Le Grazie guardino intristite
- chi ti ricorda che la bellezza è un dono fugace,
- e che anche per te arriverà il momento della morte.
- Le pendici del Parnaso
- furono casa della pura Artemide,
- un tempo cacciatrice mortale
- che guidava una schiera di ninfe marine,
- e incuteva paura ai cervi,
- facendo fischiare la corda dell’arco cidonio, scoccando lontano le frecce.
- La fama la celebrò
- come prole degli dei dell’Olimpo; impauriti
- gli uomini la chiamano dea,
- e le consacrarono il trono
- degli Elisi, e il dardo infallibile,
- e i monti, e il carro della luna in cielo.
- Allo stesso modo il canto dei poeti
- consacrò divinità Bellona,
- un tempo amazzone invincibile.
- Ella ora prepara l’elmo, lo scudo,
- le cavalle e il furore guerriero
- contro l’avara Inghilterra.
- E anche quella dea della quale
- ti vedo cingere, devota, di sacro mirto
- la statua, che marmoreo presiede
- le tue stanze segrete
- dove solo a me ti presenti in qualità di sacerdotessa,
- fu regina; regnò felice su Citera
- e Cipro, dove una perpetua e serena
- primavera emana il suo profumo
- e regnò sulle altre isole
- che con i loro monti
- ricoperti di selve ostacolano il flusso dei venti
- e il corso dello Ionio.
- Nacqui in quel mare
- dove vaga l’anima, ormai priva del corpo
- della fanciulla di Faone,
- e se lo zeffiro notturno
- soffia dolcemente sui flutti del mare,
- si sentono i lidi risuonare il lamento della sua lira.
- Per questo motivo, io, ispirato
- nella vocazione poetica dalla mia stessa patria,
- per te traspongo l’accento della poesia eolica
- nella severa tradizione italiana
- e così anche tu, una volta fatta dea, riceverai le offerte votive
- delle future donne lombarde tra il canto dei miei inni.
1 Il componimento si apre con una similitudine di ispirazione virgiliana (Eneide, VIII, 589-591): come il pianeta caro a Venere (Lucifero, nelle ore mattutine, Vespro, durante la sera) uscendo dagli abissi del mare con i suoi raggi simili a capelli inumiditi di rugiada abbellisce il suo cammino con la luce del sole, così le membra di Antonietta si rialzano dal letto (il “talamo”) della degenza.
2 egro: ipallage, in quanto l’attributo, associato a talamo, si riferisce logicamente alla donna, che sul letto medesimo giace ammalata.
3 È subito annunciato il motivo della bellezza confortatrice, il cui culto costituirà l’ispirazione fondamentale delle Grazie.
4 menti mortali: animi dei mortali, destinati a “vaneggiar”, a vivere continuamente di tormenti. È costante, nel Foscolo, il contrasto tra un desiderio di armonia e pace (trasfigurato solo dalla parola poetica) e il tumulto delle passioni.
5 L'immagine della rosa che torna a fiorire, come il colorito che ritorna sul viso, è presa da Parini: “Torna a fiorir la rosa | che pur dianzi languia” (L’educazione, vv. 1-2).
6 insidïando: lo iato tra “grandi” e “occhi” e la dieresi di “insidïando” prolungano l’estesione del settenario: la pronuncia rallentanta dà conto della contemplazione estatica della bellezza femminile. “Tornano [...] insidiando”: l’espressione torna analoga nella conclusione del terzo inno: “tornino i grandi | occhi fatali al loro natio sorriso” (Le Grazie, III, vv. 256-257).
7 per te: è complemento di causa. La preoccupazione che attanaglia madri e amanti è imputabile alla bellezza e al fascino di Antonietta.
8 Ore: le Ore, che prima somministravano medicine alla donna, vengono personificate e descritte mentre sono intente a corteggiarla, danzandole intorno. È proprio il fugace riferimento alle Ore a consentire il passaggio, nei versi che seguono, al ragionamento sulla morte umana, superabile grazie al valore eternante della poesia.
9 indica: "indiana". Con questo attributo si vuole designarne la preziosità, in quanto le sete proveniente dall’estremo oriente erano, per antonomasia, le più raffinante e pregiate.
10 effigïati Dei: cammei, in voga tra le gentildonne del tempo, incisi da artigiani che si ispiravano all’arte greca.
11 coturni: indica semplicemente le scarpette da ballo della donna, anche se i coturni sono propriamente i calzari degli attori della tragedia greca. L’uso ricercato dei termini, che concorre a determinare la preziosità del dettato, non è del tutto esente da forzature logiche, comprensibili all’interno del gusto neoclassico.
12 cori: è latinismo da chorus, -i, “danza”.
13 Si noti l’uso insistito dell’anastrofe, l’anafora del pronome (“te”) e della congiunzione copulativa (“e”): con gusto letterariamente colto e raffinato, le figure retoriche vanno di pari passo alla contemplazione estatica della donna, per la quale i giovani dimenticano anche il ballo.
14 L’arpa, suonata dalla donna, la rende ancor più bella, valorizzandola con la sua melodia.
15 numeri: dal latino numerus, -i, "ritmo".
16 bisso: è tela leggera, che asseconda le forme femminili (dal latino facilis, -e, “arrendevole”).
17 balli disegni: si noti la delicatezza dell’immagine: la donna, nel suo volteggiare, riesce a imprimere sosfisticati disegni nell’aria.
18 sommosso petto: il petto della donna è ansante per l'impegno della danza.
19 ambrosia: propriamente, il cibo degli dei. Spesso è usato da Foscolo per indicar un unguento profumato (e per innalzare il livello stilistico del testo).
20 alma: con valore etimologico, dal latino alĕre, “nutrire”.
21 Torna la personificazione delle Ore, qui descritte come ancelle devote di Amore.
22 Il poeta auspica che le Grazie non si lascino impietosire da chi, provando invidia, ricorda alla donna che la bellezza è bene fuggevole e precario.
23 il giorno dell’eterna pace: si insidia nel componimento l’ombra della morte, che è però intesa (come in Alla sera) quale apportatrice della pace.
24 Mortale guidatrice: si apre qui l’ultima parte del componimento, dove è svolto il tema della poesia e della sua facoltà di immortalare le cose umane. Il canto del poeta eternerà la bellezza della donna amata, come in passato per altre donne belle, rese immortali grazie dal canto di altrettanti poeti. La mortale guidatrice è Artemide, primo di tre esempi di donne mortali e divinizzate dalla poesia.
25 Artemide (Diana nella mitologia romana) aveva tre culti presso gli antichi: come regina degli Inferi (“Elisio soglio”, vv. 64-65), come cacciatrice infallibile (vv. 59-60), e come Luna in cielo (v. 66). Per questo Foscolo dice che la fama la proclamò “olimpia prole”.
26 Cidonia, sull'isola di Creta, era città famosa per la produzione di archi.
27 La forte anastrofe concorre a determinare l’aulicità del dettato.
28 Anche Bellona era soltanto un’invitta amazzone, poi consacrata a dea della guerra grazie al canto poetico (“vocale Elicona”).
29 egida: è lo scudo usato dagli dei in battaglia.
30 contro l’Anglia vara e le cavalle e il furor prepara: i vv. 70-72 alludono ai preparativi di guerra da parte di Napoleone contro l’Inghilterra. Foscolo si serve del rimando alla contemporaneità per sottolineare la continuità del rapporto tra poesia e celebrazione degli eroi - come farà anche ne I sepolcri - e per ribadire la funzione insostituibile dell'attività letteraria.
31 lari: sono propriamente, nella religione romana, gli dei protettori della casa. Qui metonimicamente passano a indicare le stanze private di Antonietta.
32 a me sol: allusione discreta al rapporto amoroso che lega la donna al poeta, cui si unisce la trasfigurazione neoclassica dell'amata, che al verso successivo diviene "sacerdotessa" del culto della bellezza poetica.
33 Il terzo esempio di donna resa immortale dal canto poetico è quello offerto da Venere, la cui statua marmorea è omaggiata da Antonietta stessa.
34 Citera: Venere è chiamata Citerea nell’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. Tanto Citera quanto Cipro sono isole consacrate al suo culto.
35 in quel mar: è lo Ionio, mare nel quale si trova anche Zacinto, patria del poeta, celebrata nel noto sonetto A Zacinto.
36 di Faon la fanciulla: riferimento a Saffo, che amò Faone e, non corrisposta dal giovane, si suicidò gettandosi dalla rupe Leucade.
37 I venti, che ancora riecheggiano nei luoghi che furono testimoni del tormentoso e tragico amore di Saffo, sembrano rievocarne il doloroso lamento.
38 Si noti la solennità con la quale il poeta parla della propria vocazione alla poesia, prefigurata nella sua nascita sotto l’”aer sacro" (che ricorda l’espressione “sacre sponde” del sonetto A Zacinto).
39 Foscolo, che si sentiva e si proclamava greco e italiano insieme, esprime compiaciutamente la consapevolezza di aver fuso lo spirito della poesia greca con la gravità della forma della poesia italiana.
40 insubri: Foscolo chiama così le donne abitanti in Lombardia dall’antico nome di Insubria che aveva la regione.