Introduzione
In questo canto Dante si trova ancora con Virgilio e Stazio e, ormai quasi completamente purificato e redento dai peccati, sta salendo verso il Paradiso; attraversa in questo momento la sesta cornice del Purgatorio, dedicata ai golosi.
Riassunto
All’inizio del canto Dante sta proseguendo il dialogo, iniziato già nel canto precedente, con l’amico di gioventù Forese Donati, fratello di Corso e Piccarda. Il poeta chiede notizie di quest’ultima, e scopre così ch’ella è già da tempo ascesa in Paradiso. Dante domanda inoltre di sapere chi sono le anime illustri che si trovano in quel luogo, e Forese gli indica, tra numerosi nobili ed ecclesiastici (gli unici che potevano economicamente permettersi di peccare di gola), il poeta lucchese Bonagiunta Orbicciani. Questi (cui il protagonista è particolarmente interessato poiché al v. 37 lo sente mormorare il nome “Gentucca”) gli profetizza oscuramente l’esilio, e l’esistenza di una donna che gli farà cambiare idea ospitandolo nellla sua città natale, Lucca, di cui Dante ha espresso un giudizio negativo nel canto XXI. Attraverso il confronto con Bonagiunta Dante ritorna anche sulla questione dello Stil Novo (e, più in generale, della sua poesia “giovanile”) portando ad esempio Donne ch’avete intelletto d’amore, canzone contenuta nella Vita nova e che diventa, nelle parole di Bonagiunta e nella risposta di Dante (vv. 52-54), manifesto della nuova poetica. Bonagiunta allora ammette di comprendere in quel momento la distanza che intercorre tra i poeti stilnovisti, la scuola siciliana (il "Notaro" del v. 56 è Jacopo da Lentini), Guittone d'Arezzo ed egli stesso in merito all’adesione al “dettato” di Amore (dietro cui però Dante sottolinea anche la novità della concezione di amore come virtù propria degli stilnovisti e degli altri “fedeli d’amore”).
Riprendendo il colloquio con Forese, arriviamo alla seconda profezia del canto, che preannuncia a Dante anche la terribile morte del fratello Corso Donati, alla cui condottta scellerata vengono imputate tutti i problemi che affliggono Firenze, dalla corruzione politica alla degenerazione dei costumi L’ultima immagine è quella di un albero pieno di frutta, cui le anime penitenti tendono invano le mani in cerca di cibo: una voce, che proviene non si sa da dove, mette in guardia però i tre viaggiatori dall’avvicinarsi alle sue fronde, dato che quella pianta è diretta discendente dell’albero della conoscenza del Bene e del Male del giardino dell’Eden. In seguito, la stessa voce misteriosa, cita degli esempi di illustri golosi. A questo punto si avvicina al trio un angelo, la cui immagine luminosissima è insostenibile per lo sguardo del poeta. L’angelo, che consiglia di procedere verso l’ultima cornice del Purgatorio, provvede anche a cancellare dalla fronte del protagonista una delle “P” che simboleggia il suo percorso di espiazione e purificazione.
Il rapporto della Commedia con lo Stilnovo
La presenza al fianco di Dante, sin dal canto XXIII, di Forese Donati indica che la materia del canto ventiquattresimo è profondamente intrisa di motivi autobiografici, che toccano corde assai intime del Dante uomo e del Dante poeta. Il confronto con l’età giovanile (il poeta, negli anni, è un uomo di quarant’anni) si instaura poggiando su due personaggi distinti - Forese e Bonagiunta - ma sempre intersecando vita e poesia, due polarità che nella riflessione dantesca (soprattutto dal Convivio in poi, e al massimo grado con la Commedia stessa) non possono che essere sempre intimamente connesse.
A Forese Dante è legato, oltre che da una profonda amicizia 1, anche dalla scherzosa tenzone comica con cui i due poeti - secondo le convenzioni del genere e dello stile comico nel Medioevo - si scambiarono tre sonetti ciascuno che contenevano tremende accuse di stampo “basso” e di tono sarcastico (Forese ci viene descritto come un ingordo, che trascura la moglie e nottetempo si dedica all’arte del furto 2). In questo canto, invece, la prospettiva è completamente capovolta:
In generale, quando si paragonino i rapporti tra i due, quali appaiono dalla Tenzone, e quelli messi in luce nel Purgatorio, non è possibile dubitare che i versi del Purgatorio siano una palinodia della Tenzone. 3
E si tenga presenta che questa “palinodia” 4 ha come proprio oggetto proprio il nesso vita-poesia: Dante rifiuta una poesia che non sia “impegnata”, cioè che sia qualcosa in più del gioco o del puro esercizio di stile, quale appunto il poeta considera la tenzone giovanile.
Quest’ottica caratterizza anche l’incontro con Bonagiunta, il poeta lucchese che nel sonetto Voi ch’avete mutata la mainera aveva polemizzato con il “fondatore” dello Stilnovismo, Guido Guinizzelli. Dante, con la terzina in cui consegna al lettore la definizione del nuovo modo di fare poesia d’amore, ritorna su tutta la questione del passaggio di temi, stili e concezioni della lirica erotico-amorosa dalla scuola siciliana (il “Notaro” del v. 56 è il caposcuola Jacopo da Lentini) alla mediazione dei “toscani” (Bonagiunta stesso e Guittone d’Arezzo) e alla “poesia della lode” che Dante, nel corso della Vita nova, capisce dover essere l’unica e suprema finalità dell’amore per Beatrice. In pochi versi (vv. 49-63), Dante “si serve” allora di Bonagiunta di allestire una vera e propria gerarchia poetica: da un lato chi, in fome diverse, considera ancora la poesia come espressione di una “passione” umana; dall’altro chi, come il Dante maturo, invoca per i propri versi (anche quelli lirici e dedicati ad una donna reale) un più profondo impegno etico-concettuale, per cui l’amore sia “virtù”, ovvero perfezionamento dell’uomo e suo avvicinamento a Dio e alla beatitudine eterna.
In tal senso, il rapporto vivissimo tra il Dante della Commedia e il Dante delle rime “giovanili” attraversa molti punti cardinali del poema: dal quinto canto dell’Inferno, dove l'“Amor, ch’a nullo amato amar perdona” (v. 103) era la passione che portava alla dannazione eterna di Paolo e Francesca, al decimo della stessa cantico (quando l’allusione del “disdegno” 5 di Guido Cavalcanti per Beatrice e quindi per la Teologia getta nello sconforto il padre di lui, Cavalcante) fino all’incontro con il musicista Casella nel secondo canto del Purgatorio e all’incontro con Bonagiunta. A coronare questo percorso, esistenziale e letterario, tra poco ci sarà l’incontro con Beatrice nel trentesimo canto; finalmente, come preannunciato in chiusura della Vita nova, Dante potrà completare il suo percorso di formazione:
[...] apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com’ella sae veracemente.
1 Ecco come Dante saluta il vecchio compagno, ai vv. 55-57 del XXIII canto: “«La faccia tua, ch’io lagrimai già morta, | mi dà di pianger mo non minor doglia», !rispuos’io lui, «veggendola sì torta»”.
2 Emblematico del gioco letterario ed intellettuale tra i due è il celebre sonetto dantesco Ben ti faranno il nodo Salamone.
3 La Divina Commedia, Purgatorio, a cura di U. Bosco e G. Reggio, Firenze, Le Monnier, 2002, p. 390.
4 Il termine palinodia è un composto greco che significa “canto di nuovo”, ed indica appunto quella tipologia di opera letteraria in cui, per cause e finalità diverse, si ritrattano posizione etiche od estetiche assunte in altri testi precedenti.