Introduzione
Nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis il giovane patriota Jacopo invia una fondamentale lettera (datata 4 dicembre 1798), in cui descrive l'incontro avvenuto a Milano con Giuseppe Parini. Il capitolo è molto importante perché permette a Foscolo, attraverso il confronto tra il suo protagonista e l’autore de Il Giorno, di tratteggiare la figura dell’eroe romantico e di sviluppare una cupa e disillusa analisi del periodo napoleonico in Italia.
Riassunto
La scena dell’incontro con Parini si apre su un paesaggio serale, in un boschetto di tigli 1 che ospita il dialogo tra l’anziano poeta (che nella realtà morirà di lì a pochi mesi, nell’agosto 1799) e il giovane ed impetuoso Jacopo, in pellegrinaggio per l’Italia dopo l’allontamento dai Colli Euganei e dall’amore impossibile per Teresa. La descrizione che Jacopo fa di Parini è funzionale alla polemica sulla situazione politica italiana ed è fortemente venata di tratti alfieriani (basti pensare ad opere come Della tirannide o Del principe e delle lettere):
Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto; e d’altronde un profondo, generoso, meditato dolore 2 a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antichi tirannidi e per la nuova licenza. Le lettere prostituite, tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione [...]. A quelle parole io m’infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: - Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore 3.
Il pensiero del poeta, qui descritto come un “vecchio venerando”, non ricalca in modo rigoroso quello del personaggio storico, maè una proiezione di Foscolo stesso: la riflessione sulla situazione della patria porta alla drastica conclusione che non vi sia gran differenza tra le antichi tirannidi sulla Penisola (quella spagnola e poi quella austriaca) e la presente “nuova licenza”, con cui l’autore sarcasticamente allude al dominio napoleonico in Italia che, iniziato sotto grandi auspici, ha poi portato alla fima del Trattato di Campoformio con gli austriaci (17 ottobre 1797) e che si chiuderà con l’arrivo delle truppe austro-russe a Milano nel 1799. Lo sfogo sulla situazione politica italiana è radicale: Napoleone Bonaparte, al pari degli antichi tiranni, ha sottomesso il Paese, tradendo gli ideali della Rivoluzione di cui si faceva portatore. Il disprezzo di Jacopo, che si fa interprete della disillusione profonda dell’intellettuale Foscolo, per i sostenitori del potere costituito è netto e incontrovertibile: essi sono per lui “ladroncelli, tremanti, saccenti” che non meritano nemmeno la sua considerazione. Il furore a mala pena trattenuto di Jacopo trova un elemento di bilanciamento nelle parole del saggio Parini, che lo invita alla calma e alla riflessione, dato che non si intravede nel futuro prossimo un qualche “barlume di libertà”. Il problema per Jacopo è che egli non può volgere altrove - come gli consiglia l’anziano poeta - il suo tormento interiore. Difatti, anche la vita privata e l’amore per Teresa sono stati finora solo motivi di sofferenza e sconforto. Lo spiega il protagonista stesso, dando di sé il ritratto dell’eroe romantico in lotta titanica contro il mondo:
Allora io guardai nel passato - allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla 4, e conobbi tutta la disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que’ genj celesti i quali par che discendano a illuminare la stanza tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al mio pianto, il vecchio petoso più volte sospirò dal cuore profondo: - No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro.
La sconfitta sul piano storico e su quello personale non può che condurre Jacopo a pensieri di suicidio e di morte, che poi metterà in pratica. Per ora, con effetto di pathos, lo trattiene solo l’amore per la “madre affettuosa e benefica”. Resta dunque solo l’impegno, senza speranza di successo, per la “libertà della patria”, cui Jacopo vuole dedicare tutto se stesso. A questo punto, Parini - o meglio, Foscolo attraverso questa controfigura letteraria - sviluppa una breve e incisiva riflessione sulla natura della politica e del potere. Sulle orme del realismo politico del Principe di Machiavelli (1469-1527) e di Thomas Hobbes (1588-1679), Parini presenta un quadro fosco e pessimistico sulle possibilità d’azione di chi è spinto da nobili ideali, poiché “quando dovere e virtù stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù”. Anche la fama degli eroi - e qui si avverte la reazione foscoliana agli eccessi del regime del Terrore in Francia - non è immune da critiche aspre: essa infatti è il risultato dell’audacia dei singoli, ma anche dei loro delitti e dell’influsso della sorte. In particolare, dice Parini, è illusorio e dannoso riporre fiducia nello straniero, da cui “non si dee aspettare libertà”. Anche chi vuol conservarsi puro e nobile è comunque destinato alla sconfitta quando entra in contatto con la corruzione del potere e della violenza:
Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d’ingegno quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno del fazioso, o la vittima del potente. E dove tu nelle pubbliche cose possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia; la tua prigione sarà abbandonata da’ tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro.
Anche chi, per un caso fortuito, riuscisse a conquistare il potere, sarà costretto a macchiarsi di sangue se stesso e i propri ideali e verrà giudicato, a seconda dei casi, un “demagogo” o un “tiranno”. Secondo l’analisi di Parini, il potere di per sé corrompe l’uomo e non c’è spazio d’azione per chi è animato da alti ideali. La chiusura dell’episodio riporta allora alla suggestione del suicidio; se per il credente Parini c’è ancora la fiducia in un altro mondo, per Jacopo questa diventerà a poco a poco una soluzione sempre più concreta per reagire al suo dramma storico e personale:
Tacque - ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva 5! tu almeno sapevi morire incontaminato. - Il vecchio mi guardò: - Se tu né speri né temi fuori di questo mondo - e mi stringeva la mano - ma io! - Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisonomia si raddolciva di soave conforto come s’ei lassù contemplasse tutte le sue speranze.
Commento
L’analisi storica di Foscolo nel celebre incontro tra Jacopo Ortis e Giuseppe Parini è impostata secondo un fosco pessimismo, per cui nel divenire storico non c’è spazio per eroismo o ideali: l’autore registra dal suo punto di vista la crisi dei valori dell’Illuminismo dopo la Rivoluzione francese e l’impossibilità per il giovane intellettuale amante della libertà di integrarsi nella nuova società, di cui è invece rappresentante Odoardo, il rivale in amore del protagonista. Per sviluppare questo discorso, alla fine del quale si riscontra che tutti gli uomini sono “naturalmente schiavi” o “naturalmente tiranni”, Foscolo caratterizza in senso romantico ed alfieriano la figura di Parini, mantenendo della figura del poeta lombardo la coerenza morale e l’impegno civile che caratterizza le sue Odi. Quella di Parini diventa così la figura di un maestro, che si dimostra funzionale alla presa di coscienza di Jacopo dell’impossibilità della libertà politica e della felicità personale, che culminerà nella famosa esclamazione della “lettera da Ventimiglia” (19-20 febbraio 1799), che è il punto d’approdo del pessimismo e del nichilismo delle Ultime lettere:
I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dì sormontati d’ogni parte dalla pertinace avarizia delle nazioni. Ove sono dunque i figli tuoi? Nulla ti manca se non la forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce?
Il tema della vanità dell’azione e l’analisi della natura violenta del potere su cui si incentra il colloquio con Parini sono poi sostenuti dal ricorso ad altri due modelli letterario-filosofici: Niccolò Machiavelli e il Leviatano di Thomas Hobbes. Da questi due trattatisti politici Foscolo recupera l’idea che in politica non ci sia spazio per chi è puro e incontaminato di cuore e quella, più profonda, che la scalata al potere corrompe anche chi è animato dai migliori propositi, come il triennio giacobino in Italia aveva ampiamente dimostrato. Ne risulta arricchito il profilo dell’intellettuale romantico, caratterizzato dall’animo nobile e dagli ideali letterari di libertà e indipendenza, pronto a grandi gesti che prevedano anche il proprio sacrifico personale e sostanzialmente nato nell’epoca sbagliata 6.
Lo stile di tutta la lettera è retoricamente elevato, in accordo con il contenuto del testo: il dialogo tra i due personaggi è ricco di ripetizioni ed anafore, arricchito da interrogative retoriche e da iperbati che spezzano l’andamento normale della frase.
1 La circostanza viene ripresa anche ne I sepolcri, ai vv. 62-69: “o bella Musa, ove sei tu? Non sento | spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume, | fra queste piante ov’io siedo e sospiro | il mio tetto materno. E tu venivi | e sorridevi a lui sotto quel tiglio | ch’or con dimesse frondi va fremendo | perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio, | cui già di calma era cortese e d’ombre”. Nel carme, trattando il tema del valore civile del “sepolcro”, Foscolo lamenta il fatto che un poeta e intellettuale del calibro di Giuseppe Parini sia stato sepolto in una semplicissima tomba al cimitero comunale di Porta Comasina, che all’epoca si trovava poco oltre l’attuale Porta Garibaldi.
2 un profondo, generoso, meditato dolore: Foscolo qui allude alla zoppia del poeta, causata da una malattia agli arti. La circostanza è ricordata da Parini stesso nell’ode La caduta.
3 L’enfasi e la passionalità retorica di Jacopo si nutre di citazioni classiche: la profezia per cui dal sangue dei caduti per la libertà sorgerà un “vendicatore” ricorda da vicino quella di Didone suicida che, nel quarto libro dell’Eneide di Virgilio, promette eterno odio per Enea e i romani: “Tùm vos, ò Tyriì, stirp(em) èt genus òmne futùrum | èxercèt(e) odiìs, cinerìqu(e) haec mìttite nòstro | mùnera. Nùllus amòr populìs nec foèdera sùnto”. Traduzione: “Allora voi, o Tirii, tormentate con l’odio la sua stirpe e tutta | la razza futura, e mandate questi doni alle nostre | ceneri. Non ci sia né amore né patto tra i popoli”.
4 le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla: anche questa immagine è di stampo letterario; si trova infatti nel sesto libro dell’Eneide, quando Enea cerca inutilmente di abbracciare l’ombra di suo padre Anchise nell’Ade (Eneide, VI, vv. 700-702: “Ter conatus ibi collo dare brachia circum | ter frustra comprensa manus effugit imago, | par levibus ventis volucrique simillima somno”. Traduzione: “Per tre volte tentò di mettergli le braccia intorno al collo, | per tre volte inutilmente l’immagine afferrata svanì tra le mani; | come un sogno con le ali, simile ai venti più leggeri”. Si tratta di un topos letterario, che torna anche in Dante nell’incontro con Casella nel secondo canto del Purgatorio (vv. 79-81).
5 Cocceo Nerva: Marco Cocceio Nerva era un nobile romano, nonno dell’omonimo imperatore Nerva (30-68 d.C.), che, secondo il racconto di Tacito negli Annali, nel 33 d.C. si sarebbe suicidato lasciandosi morire di fame disgustato dalla corruzione dello Stato.
6 Parini stesso definisce Jacopo “giovine degno di patria più grata”.