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Dino Campana, “Canti orfici”: introduzione e analisi

Introduzione

  

Dino Campana nasce nel 1885 a Marradi, in provincia di Firenze. Figlio di un maestro elementare, frequenta le scuole a Faenza e a Torino. Si iscrive alla Facoltà di Chimica, che tenterà a più riprese di concludere senza mai riuscirci. Intorno al 1900 inizia a dare segni di squilibrio mentale, probabilmente legati alla difficile vita familiare: tra momenti di lucidità e accessi di furore, Campana inizia a condurre una vita vagabonda da outsider: viene arrestato più volte e anche internato in manicomio. Tra il 1903 e il 1918, Campana viaggia molto: in Italia, in Europa, in Russia e anche in Sud America. I viaggi sono intrapresi in condizioni di estrema povertà, a cui il poeta tenta di ovviare praticando i mestieri più diversi: memorabile il viaggio in Argentina e Uruguay del 1908 in cui Campana lavora come pianista da bordello, manovale sterratore, pompiere e persino suonatore di triangolo. Nel 1913 Campana consegna un manoscritto di un libro di poesie a Giovanni Papini e Ardengo Soffici, direttori della prestigiosa rivista «Lacerba». Soffici però smarrisce il manoscritto, che verrà ritrovato e pubblicato postumo solo negli anni Settanta. Riscritto il libro quasi completamente a memoria, Campana lo pubblica a sue spese nel 1914 col titolo Canti orfici (il titolo originario era Il più lungo giorno), presso una stamperia di Marradi. Tra il 1916 e il 1917 vive una tormentata relazione con la scrittrice Sibilla Aleramo (1876-1960). Nel 1918 viene rinchiuso definitivamente nel manicomio di Castel Pulci, nel fiorentino, dove muore nel 1932 per le conseguenze di una setticemia.

 

I Canti orfici: tematiche, struttura e stile

 

I Canti orfici sono un prosimetro, ovvero una raccolta in cui si alternano testi in prosa e in versi. Nel libro, in cui confluiscono anche testi composti tra il 1912 e il 1913 1, figurano ventidue componimenti, divisi in quattro sezioni (La Notte, Notturni, La Verna, Varie e frammenti). La prosa degli Orfici è quella, assai particolare, del poema in prosa e fa largo uso di artifici ritmici tipici del verso 2. Il titolo, scomposto nelle sue due parti, da un lato rimanda alla tradizione lirica italiana (con riferimento ai Canti leopardiani) dall’altro introduce una concezione della poesia come parola rivelatrice, mistica e segreta 3. Sebbene i Canti orfici sembrino in apparenza un libro frammentario, composto di testi slegati fra loro, in realtà presentano una forte coerenza strutturale, tanto da potersi quasi considerare un poema unitario, pieno di corrispondenze interne. Ad unire poesie e prose è proprio la matrice orfica, che per Campana è da intendersi come l’aspirazione ad una poesia totale ed assoluta che sappia trasfigurare e ricreare la realtà esterna che descrive. In tal senso si spiega anche il controverso sottotitolo dei Canti orfici, che recita Die Tragödie des letzen Germanen in Italien (“La tragedia dell’ultimo Germano in Italia” 4) identificando in esso un ideale di purezza morale rispetto alla contemporaneità del poeta.

Nei testi degli Orfici domina un’atmosfera onirica in cui “nulla viene presentato ricorrendo a un piano di realtà e di esistenza ordinaria” 5. Il repertorio di situazioni e immagini che affollano la poesia di Campana è quello del tardo decadentismo europeo: la chimera, l’androgino, le prostitute, le atmosfere urbane allucinate e degradate, la compresenza di angelico e demoniaco. Campana non è però un esponente minore e “attardato” della poesia decadente, magari ispiratosi in modo meccanico al più autorevole e famoso Gabriele D’Annunzio. Al contrario, egli interpreta in modo originale questo repertorio di figure e simboli, avvalendosi di una grande potenza stilistica e formale: Campana infonde nei suoi componimenti “un eccezionale spessore semantico”, tale da creare a ogni livello del testo “una serie pressocché inesauribile di correlazioni simboliche” 6. La tecnica poetica di Campana si basa sull’uso a oltranza della ripetizione, che conferisce un andamento ossessivo e ritmico al testo, aumentandone la densità di significato senza cadere nella monotonia. I Canti orfici si aprono con un lungo poema in prosa, intitolato La notte. La prima versione del titolo, Cinematografia sentimentale, rende bene il montaggio ardito delle immagini e l’uso di una temporalità non lineare, in cui il passato emerge improvvisamente nel presente. In un brano cruciale della seconda sezione, Il viaggio e il ritorno, il poeta rievoca un’antica e misteriosa esperienza di iniziazione all’amore:

Oh il tuo corpo! il tuo profumo mi velava gli occhi: io non vedevo il tuo corpo (un dolce e acuto profumo): là nel grande specchio ignudo, nel grande specchio ignudo velato dai fumi di viola, in alto baciato di una stella di luce era il bello, il bello e dolce dono di un dio: e le timide mammelle erano gonfie di luce, e le stelle erano assenti, e non un Dio era nella sera d’amore di viola: ma tu leggera tu sulle mie ginocchia sedevi, cariatide notturna di un incantevole cielo. Il tuo corpo un aereo dono sulle mie ginocchia, e le stelle assenti, e non un Dio nella sera d’amore di viola: ma tu nella sera d’amore di viola: ma tu chinati gli occhi di viola, tu ad un ignoto cielo notturno che avevi rapito una melodia di carezze 7.

Questo brano è un buon campione delle soluzioni stilistiche dei Canti orfici: la sintassi cantilenante basata sull’uso continuo della ripetizione (anche di interi sintagmi, come nel caso di “nel grande specchio ignudo o nella sera d’amore di viola”); il cromatismo insistito e tendente all’astratto, in questo caso basato sul viola; il piano realistico-visivo sempre teso verso una deriva simbolica, ad esempio nella frase “ma tu leggera tu sulle mie ginocchia sedevi, cariatide notturna di un incantevole cielo”, in cui un’immagine realistica si trasforma in una metafora preziosa, quella della donna seduta sul poeta diventa un’antica statua-colonna, la “cariatide”, che sostiene un cielo meraviglioso e buio. L’incontro con la donna comunica un senso di estrema vitalità, in cui si nota l’influsso della filosofia di Friedrich Nietzsche. Il corpo della donna è associato alla leggerezza, anche in modo indiretto (si pensi al “profumo”e all’aggettivo “aereo”): la leggerezza è un tema tipicamente nietzschiano, “che sta a indicare ebbrezza e gioia estatica” 8, ed è legato alla felicità, all’assenso alla vita e all’amore per proprio destino. Questo passo, in cui riecheggiano anche altri temi nietzschiani come la “morte di Dio”, il Superuomo e l’eterno ritorno, si nota anche il profondo contributo dell’autore di Così parlò Zarathustra alla poesia e alla poetica di Campana; si tratta di un elemento assai importante, considerando anche il fatto che Campana legge i testi di Nietzsche direttamente in tedesco e senza il “filtro” dannunziano di opere quali Le vergini delle rocce o Il Piacere.

Tra i molti temi dei Canti orfici, ha un posto privilegiato la notte, che per il poeta è “la madre di tutte le forme di esistenza” 9 e che ritorna sotto molti aspetti nei testi più noti (La Notte, La Chimera, Genova) e si collega con il ruolo del mito, che interpreta la realtà circostante per via di analogia, spesso fondendo passato e presente oppure spazi diversi tra loro (come ne La Verna). Altro elemento cruciale dei Canti è la presenza femminile; la donna nei Canti orfici assume però un ruolo duplice, poiché l’estasi del poeta è legata alla sua presenza ma anche alla sua assenza. La donna genera un trauma, è portatrice di piacere e insieme di dolore. Generalmente, anche altri elementi della raccolta sono portatori di ambiguità semantica: tutta l’avventura “orfica” del poeta si basa su una paradossale compresenza di gioia e tragedia 10

Un altro tema fondamentale della raccolta è quello del viaggio. L’io lirico si trova spesso in una condizione itinerante, in cui eventi, incontri e spazi sono riportati quasi in serie, anche se poi vengono collegati a una dimensione simbolica più complessa. Il viaggio è il motore tematico di molti testi della raccolta, come ad esempio il celebre Viaggio a Montevideo o l’intera sezione La Verna, strutturata come il diario di un pellegrinaggio ai luoghi francescani. Il viaggio gioca un ruolo importante anche a livello stilistico: l’occhio del viaggiatore registra “l’eterno scorrere degli spettacoli emblematici del mondo”, con una tecnica simile a quella musicale della fuga 11. L’idea dello spostamento, del pellegrinaggio e del vagabondaggio (oltre al retroterra autobiografico del poeta) sono delle componenti fondamentali della poetica e della visione del mondo di Campana:

Il viaggio è per Campana la forma suprema della conoscenza sensoriale e della esperienza umana. Esso, perciò - anche quando ha una meta più o meno precisa, la Verna, Parigi, l’America Latina, - segue il più possibile suoi tempi, suoi ritmi, sue modalità, che non coincidono con quelle di un viaggio normale [...]. Il viaggio è dunque per Campana esperienza di libertà, rottura dei vincoli conoscitivi e culturali imposti dalle situazioni di “partenza” (è il caso di dirlo), apertura illimitata agli orizzonti dell’esperienza. 12

Altro tema dei Canti orfici è la poesia stessa, cui il poeta affida, attraverso la figura di Orfeo, il compito di farsi strumento di interpretazione e di riformulazione della Storia e della realtà e, al tempo stesso, narrazione della storia personale del poeta 13

I Canti orfici sono un libro importante e controverso. Tra i critici c’è sempre stato poco accordo sul lavoro poetico di Campana: lo stereotipo più diffuso è quello che lega la produzione poetica alla vita sregolata dell’autore, che incarnerebbe il tipo del poeta “maledetto” epazzo”. Inoltre, secondo molti commentatori lo stile di Campana sarebbe poco curato, primitivo e spontaneo, in quanto l’autore rappresenta la figura di un intellettuale atipico e non professionale. Contro e oltre questi clichés, bisogna riconoscere la ricchezza di modelli letterari e culturali di Campana: oltre al già citato Nietzsche, si trovano rimandi e collegamenti ai Fiori del male di Charles Baudelaire (1821-1867), alla poesia di Walt Whitman 14  (1819-1892) e a quella di Arthur Rimbaud (Une saison en enfer, 1873) o al Simbolismo di Stephane Mallarmé (1842-1898), tutti letti direttamente in lingua originali, dato che Campana conosceva e parlava francese, inglese, tedesco e spagnolo. Non va sottovalutata nei Canti orfici anche la presenza di modelli letterari italiani, come Dante e lo Stilnovo, Carducci e Pascoli, D’Annunzio stesso (soprattutto Alcyone).

 

Bibliografia:

P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978.
D. Campana, Canti orfici, a cura di Gianni Turchetta, Milano, Marcos y Marcos, 1984.
G. Turchetta, Cultura di Dino Campana e significati dei “Canti orfici”, in «Comunità», XXXIX, n. 187, 1985, pp. 359-417.
D. Campana, Canti orfici, a cura di Fiorenza Ceragioli, Milano, Rizzoli, 1989.
R. Luperini - P. Cataldi - F. D’Amely, Poeti italiani: il Novecento, Palermo, Palumbo, 1994.
C. Segre - C. Ossola, Antologia della poesia italiana, Novecento, Torino, Einaudi, 1999.
A. Asor Rosa, “Canti orfici” di Dino Campana, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Il secondo Novecento, Le opere 1901-1921, Torino, Einaudi, 2007.
C. Crocco, La poesia italiana del Novecento, Roma, Carocci, 2015.

1 I testi precedenti figurano invece nel cosiddetto Quaderno, mai pubblicato.

2 Il critico Gianni Turchetta ha parlato di “insistita ritmicità”, che si spinge addirittura fino a una “quasi metricità” (G. Turchetta, Cultura di Dino Campana e significati dei “Canti orfici”, in «Comunità», XXXIX, n. 187, 1985, p. 373).

3 Dietro a questo concezione sta la figura del dio Orfeo (il cui mito è ricordato nelle Georgiche di Virgilio e nelle Metamorfosi di Ovidio), che è considerato autore di libri iniziatici in cui si sostiene l’antitesi tra l’anima divina dell’uomo e il suo corpo vile e corrotto. L’anima umana, incatenata alla materia di cui è fatto il corpo, può purificarsi per mezzo di ascesi e successive reincarnazioni. Come spiega Alberto Asor Rosa: “Orfeo è il poeta delle origini; e tale s’immagina Campana in contrapposizione al clima sfatto e snerbato della poesia dei suoi tempi. Orfeo e l’orfismo richiamano un rapporto visionario, pre-logico, che s’allarga facilmente a dimensioni cosmiche; e Campana sviluppa dall’osservazione concreta e attenta del ‘fenomeno’ sensibile risonanze che possono arrivare fino alle stelle [...]; Orfeo è sospeso tra il mondo umano e gli Inferi; e Campana, anche lui, pendola strenuamente tra la ragione e la non-ragione, tra la chiarità del giorno e l’oscurità della notte” (A. Asor Rosa, “Canti orfici” di Dino Campana, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, Il secondo Novecento, Le opere 1901-1921, Torino, Einaudi, 2007, p. 515).

4 L’opera è poi dedicata a Guglielmo II di Germania (1859-1941) e questo fatto, nell’imminenza dello scoppio della Prima guerra mondiale, causò non pochi problemi all’autore.

5 C. Crocco, La poesia italiana del Novecento, Roma, Carocci, 2015, p. 33.

6 D. Campana, Canti orfici, a cura di G. Turchetta, Milano, Marcos y Marcos, 1984, p. 9.

7 D. Campana, La Notte, 19, Canti orfici, a cura di F. Ceragioli, Milano, Rizzoli, 1989, p. 100.

8 G. Turchetta, Cultura di Dino Campana e significati dei Canti Orfici, cit., p. 408.

9 A. Asor Rosa, “Canti orfici” di Dino Campana, cit., p. 526.

10 D. Campana, Canti orfici, 1984, cit., p. 8: “i Canti orfici [...] sono il regno dell’ambiguità: e la prima ambiguità, l’ambivalenza fondante è probabilmente quella per cui essi sono, inestricabilmente, insieme la constatazione di una tragedia e, per così dire, una sorta di teoria della gioia”.

11 P. V. Mengaldo, Poeti italiani del Novecento, Milano, Mondadori, 1978, p. 279.

12 A. Asor Rosa, “Canti orfici” di Dino Campana, cit., p. 538. Un esempio molto significativo è il testo L’incontro di Regolo, in cui il poeta riporta delle fugaci istantanee di un altro vagabondo come lui, Regolo; così i due si salutano: “Voleva partire. Mai ci eravamo piegati a sacrificare alla mostruosa assurda ragione e ci lasciammo stringendoci semplicemente la mano: in quel breve gesto noi ci lasciammo, senza accorgercene ci lasciammo: così puri come due iddii noi liberi liberamente ci abbandonammo all’irreparabile”.

13 Ivi, p. 532: “Ma il poeta, e la sua poesia, sono anche oggetto, tema, del racconto di quel personaggio che dice ‘io’. [...] In Campana, tuttavia, questo aspetto è più accentuato: è come se l’immaginario poetico di Campana fosse al tempo stesso soggetto e oggetto di se stesso. L’Orfeo, che sta dietro e dentro il reietto marradese, tende a imporsi come un personaggio autonomo; e i Canti sono, come già accennato, anche il resoconto della sua storia”.

14 I Canti orfici si chiudono infatti con la citazione di un verso, leggermente modificato, di Song to myself da Leaves of grass (Foglie d’erba, 1855): “They were all torn and cover’d with boy’s blood” (traduzione: “Essi erano tutti lacerati e ricoperti dal sangue del ragazzo”). La citazione, insieme con il sottotitolo in tedesco di apertura (Die Tragödie des letzen Germanen in Italien), è un simbolo della tragedia del poeta e della sua moralità, che alla fine si sacrifica o soccombe.