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Marziale, “Epigrammi”: riassunto e traduzione

Vita e opere

 

Marco Valerio Marziale nasce a Bilbilis, nella Spagna Tarragonese, tra il 38 e il 41 d.C. Giunto a Roma all’età di circa venticinque anni, entra in contatto con la potente famiglia degli Annei, suoi conterranei, e frequenta le élites della capitale, dove conosce tra gli altri Quintiliano, Plinio il Giovane e Giovenale. L’orgoglio per le proprie origini emerge in alcuni componimenti di ispirazione autobiografica, tra cui 1, 61 1:

  1. Veròna dòcti sỳllabàs amàt vàtis 2,
  2. Maròne fèlix Màntuà est 3,
  3. censètur Àponì Liviò suò tèllus
  4. Stellàque nèc Flaccò minùs,
  5. Apòllodòro plàudit ìmbrifèr Nìlus,
  6. Nasòne Pàelignì sonànt,
  7. duòsque Sènecas ùnicùmque Lùcànum
  8. facùnda lòquitur Còrdubà,
  9. gaudènt iocòsae Càniò suò Gàdes,
  10. Emèrita Dècianò meò:
  11. te, Lìciniàne, glòriàbitùr nòstra
  12. nec mè tacèbit Bìlbilìs 4.
  1. Verona ama i versi del dotto poeta,
  2. di Marone è orgogliosa Mantova,
  3. la terra di Apono è stimata per il suo Livio
  4. e non meno per Stella e Flacco,
  5. il Nilo portatore di acque applaude Apollodoro,
  6. i Peligni ripetono il nome di Nasone,
  7. i due Seneca e il singolare Lucano
  8. sono ricordati dalla fertile Cordova,
  9. gode del suo Canio l’allegra Cadice,
  10. Merida del mio Deciano:
  11. te, o Liciniano, onorerà la nostra Bilbilis,
  12. tacerà me.

 

Dopo la repressione della congiura dei Pisoni da parte di Nerone - di cui fanno le spese anche Petronio, Lucano, Seneca e la sua famiglia - Marziale svolge l’attività di poeta come cliente: nell’80 d.C. pubblica, probabilmente su commissione della corte imperiale, una raccolta di epigrammi per celebrare l’inaugurazione dell’Anfiteatro Flavio che ottiene un buon successo. Si tratta di un componimento in distici elegiaci con cui si apre il libro, e qui Marziale elenca quattro delle sette meraviglie del mondo antico 5: le piramidi (v. 1), i giardini pensili di Babilonia (v. 2), il tempio di Artemide a Efeso (v. 3) e il Mausoleo di Alicarnasso (vv. 5-6), cui va aggiunto l’altare costruito, secondo la leggenda, da Apollo bambino a Delo con le corna delle capre che sua sorella Artemide portava dalla caccia 6. L’Anfiteatro voluto dall’imperatore, però, secondo Marziale le supera tutte:

 

Bàrbara pỳramidùm 7 sileàt miràcula Mèmphis,
  Àssyriùs iactèt nèc Babylòna 8labòr;
nèc Triviàe templò 9mollès laudèntur Iònes,
  dìssimulèt Delòn còrnibus àra frequèns;
àëre nèc vacuò pendèntia Màusolèa
  làudibus ìnmodicìs Càres in àstra ferànt.
Òmnis Càesareò cedìt labor Àmphitheàtro,
  ùnum prò cunctìs fàma loquètur opùs.

La barbara Menfi taccia la straordinarietà delle piramidi
  e la fatica assira non ostenda con vanto Babilonia;
i molli Ioni non siano lodati per il tempio di Diana,
  l’altare ricco di corna [di capra] trascuri Delo;
il Mausoleo che si libra nella vuota aria,
  con lodi smisurate i Cari non lo innalzino fino alle stelle.
Ogni fatica cede il passo all’anfiteatro di Cesare:
  quest’unico monumento la fama celebrerà al posto di tutti.

 

Dall’85 d.C., Marziale inizia a pubblicare regolarmente epigrammi che lo rendono famoso, anche se non gli procurano grandi benefici economici: in un’epoca in cui non esiste la tutela del diritto d’autore, infatti, i proventi della vendita dei libri spettano solo ai librai. Emblematica, da questo punto di vista, la lamentela di Marziale in 11, 3:

 

Nòn urbàna meà tantùm Pimplèide gàudent
  òtia nèc vacuìs àuribus ìsta damùs,
sèd meus ìn Geticìs ad Màrtia sìgna pruìnis 10
  à rigidò teritùr 11 cènturiòne libèr,
dìcitur èt nostròs cantàre Britànnia vèrsus.
  Quìd prodèst? Nescìt sàcculus ìsta meùs.
Àt quam vìcturàs poteràmus pàngere chàrtas
  quàntaque Pìerià pròelia flàre tubà 12,
cùm pia rèddiderìnt Augùstum nùmina tèrris,
  èt Maecènatèm sì tibi, Ròma, darènt!

Non solo gli ozi urbani si rallegrano della mia Musa
  né a orecchie libere [da impegni] dedichiamo queste poesie,
ma nel freddo paese dei Geti presso le insegne di Marte
  il mio libro è consumato dal duro centurione,
si dice che anche i Britanni recitino a più riprese i miei versi.
  A che giova? Il mio borsellino non conosce queste cose.
Ma quali pagine destinate a vivere avrei potuto riempire
  e quali combattimenti intonare con la tromba della Pieridi,
se, dopo aver restituito alla terra un Augusto, i pii numi
  avessero concesso a te, o Roma, anche un Mecenate!

 

Marziale è perciò costretto a fare ancora affidamento su eventuali patroni per poter continuare a vivere in una città ricca di stimoli intellettuali ma anche frenetica e turbolenta: alla fine, infastidito dagli aspetti deteriori della capitale (tutti inseriti nella propria produzione artistica), il poeta decide di tornare nella sua terra natia, amata e odiata al tempo stesso 13, dove muore nel 104 d.C.

 

Gli epigrammi di Marziale

 

Il corpus giunto fino a noi comprende più di 1500 epigrammi, il cui ordinamento ripropone forse quello di un’edizione antica successiva alla morte dell’autore. Precede la raccolta vera e propria il cosiddetto Liber de spectaculis, composto, come abbiamo visto, per celebrare l’inaugurazione del Colosseo; segue l’Epigrammaton liber,  che si contraddistingue per la varietas e la poikilìa dei libri I-XII, pubblicati tra l’85 e il 102: battute spiritose tra amici, momenti di vita quotidiana, feste per nascite o matrimoni, rievocazioni di tristi eventi, descrizioni grottesche dei personaggi che popolano la Roma del tempo (heredipetae, imbroglioni, parassiti, ecc.), epigrammi di polemica letteraria, versi celebrativi.

Le ragioni della scelta del genere letterario dell’epigramma sono messe in evidenza in 10, 4: negli epigrammi di Marziale c’è la vera vita quotidiana.

 

Quì legis Oèdipodèn caligàntemquè Thyèsten,
  Còlchidàs et Scyllàs, quìd nisi mònstra legis?
Quìd tibi ràptus Hỳlas, quid Pàrthenopaèus et Àttis,
  quìd tibi dòrmitòr pròderit Èndymion?
Èxutùsve puèr pinnìs labèntibus? Aùt qui
  òdit amàtricès Hèrmaphrodìtus aquas?
Quìd te vanà iuvànt miseraè ludìbria chàrtae?
  Hòc lege, quòd possìt dìcere vìta "Meum est".
Nòn hic Cèntauròs, non Gòrgonàs Harpyiàsque
  ìnveniès: hominèm pàgina nòstra sapit.
Sèd non vìs, Mamùrra, tuòs cognòscere mòres
  nèc te scìre: legàs Aètia Càllimachi.

Tu che leggi Edipo e l’oscuro Tieste,
  Colchidi e Scille, che cosa leggi, se non delitti mostruosi?
A che ti gioverà il rapito Ila, a che Partenopeo e Attis,
  a che Endimione che dorme?
O il ragazzo spogliato delle penne che scivolano via?
  O Ermafrodito che odia le acque che lo amano?
A che cosa ti servono le vane illusioni di una misera carta?
  Leggi questo, di cui la vita possa dire “È mio”.
Né Centauri né Gorgoni né Arpie
  troverai qui: la nostra pagina ha il sapore dell’uomo.
Ma tu non vuoi, Mamurra, sapere i tuoi costumi
  né conoscere te stesso: leggi gli Aitia di Callimaco.

 

Nei primi versi dell’epigramma Marziale ricorda i miti abusati dell’epica e della tragedia: al v. 1, la vicenda di Edipo, che uccide il padre e giace con la madre; quella di Tieste, che mangia inconsapevolmente le carni dei figli preparategli dal fratello Atreo. Al v. 2 si cita il mito di Medea, qui evocata tramite la sua regione natia, la Colchide, e il mostro marino Scilla. C’è poi spazio (v. 3) anche per il guerriero Partenopeo, uno dei Sette contro Tebe; Attis è invece colui che si evirò per divenire sacerdote di Cibele. Il pastore Endimione (v. 4) è stato amato dalla Luna mentre Ermafrodito rifiutò l’amore della ninfa Salmacide, che si fuse in lui (vv. 5-6). Al contrario dei miti qui ricordati e della sterile erudizione - questa l’opinione di Marziale - degli Aitia del poeta alessandrino Callimaco, il poeta invia il suo lettore a immergersi nella vera vita che può trovare tra i propri componimenti.

La parte più cospicua della produzione di Marziale ha sicuramente carattere satirico, ma è priva di astio e di intento moralistico. Ecco per esempio la descrizione di un “cliente” alla ricerca di un invito a pranzo: ogni luogo è buono per socializzare (11, 77)!

 

In òmnibùs Vacèrra quòd conclàvibùs
consùmat hòras èt diè totò sedèt:
cenàturìt Vacèrra, nòn cacàturìt.

In tutte le latrine Vacerra
passa delle ore e sta seduto tutto il giorno:
Vacerra vuole mangiare, non cacare.

 

Questa, invece, è la bonaria presa in giro di un uomo e della sua professione (1, 47):

 

Nùper eràt medicùs, nunc èst vispìllo Diàulus:
  quòd vispìllo facìt, fècerat èt medicùs.

Fino a poco tempo fa Diaulo era medico, ora è becchino:
  ciò che fa da becchino, lo aveva fatto anche da medico.

 

Se i temi sono vari, la tecnica utilizzata è comune: a una prima parte descrittiva segue una frase o una sentenza paradossale, che scarica in modo inaspettato (in greco aprosdòketon) la suspense dell’attesa iniziale. Ecco un esempio (11,64) di fulmen in clausula; nell’ultimo verso dell’epigramma una situazione apparentemente normale viene capovolta con una battuta inattesa:

 

Nèscio tàm multìs quid scrìbas, Fàuste, puèllis:
  hòc scio, quòd scribìt nùlla puèlla tibì.

Io non so, Fausto, che cosa tu scriva a così tante ragazze:
  so però questo, cioè che nessuna ragazza scrive a te.

 

Si torna infine a una certa unità tematica con il XIII libro - intitolato Xenia e comprendente 124 epigrammi di un solo distico destinati a fungere da biglietti di accompagnamento dei doni che si era soliti mandare a parenti e amici in occasione dei Saturnali - e con il XIV, insieme di Apophoreta, cioè i piccoli “regali da portar via” che i commensali estraggono a sorte e portano a casa dopo il banchetto durante quelle stesse feste (di solito costituiti da statuette, candele, mantelli, libri, spille e così via). Si veda l’epigramma 13, 16:

 

Hàec tibi brùmalì gaudèntia frìgore ràpa
  quàe damus, ìn caelò Ròmulus 14 èsse solèt.

Queste rape che ti diamo, che si compiacciono
  del freddo invernale, in cielo è solito mangiarle Romolo.

 

Oppure l’epigramma 14, 24:

 

Splèndida nè madidì violènt bombýcina crìnes,
fìgat acùs tortàs sùstineàtque comàs.

Perché i capelli unti [d’unguento] non sporchino la splendida seta,
la spilla sia conficcata e sostenga le attorte chiome.

1 I versi dispari sono coliambi, i versi pari dimetri giambici.

2 docti [...]vatis: nell’espressione risuona il grande apprezzamento di Marziale per Catullo e per il labor limae cui egli ha sottoposto le sue poesie (come dichiarato programmaticamente in Cui dono lepidum novum libellum).

3 L’espressione ricorda l’incipit del distico posto sulla tomba di Virgilio: “Mantua me genuit [...]”.

4 Vengono qui ricordati poeti che hanno reso illustre la propria patria; il criterio utilizzato da Marziale è quello dell’equilibrio geografico: sette non sono spagnoli (il veronese Catullo; il mantovano Publio Virgilio Marone; i padovani - Apono è località veneta nota per le sue acque termali - Livio, Stella e Flacco; l’egiziano Apollodoro, altrimenti ignoto; Publio Ovidio Nasone, nativo di Sulmona, regione un tempo abitata dai Peligni), altri sette provengono dalla Spagna (Seneca il Vecchio, il filosofo stoico Seneca, Lucano, Canio Rufo, Deciano, Valerio Liciniano e Marziale stesso).

5 Marziale non inserisce infatti nel suo elenco la statua di Zeus ad Olimpia (costruita da Fidia nel 436 a.C.), il Colosso di Rodi (III secolo a.C.), il faro di Alessandria d’Egitto (300-280 a.C.).

6 La fonte per questo mito si trova in Callimaco, Inno ad Apollo, 58-63).

7 pyramidum: in particolare, ad essere classificata come “meraviglia” è la Piramide di Cheope a Giza (2560-2540 a.C.).

8 Babylona: i meravigliosi giardini pensili di Babilonia furono costruiti nel 590 a.C. dal re Nabucodonosor II (634 ca. - 562 ca. a.C.).

9 Triviae templo: il tempio di Artemide ad Efeso, nell’attuale Turchia.

10 pruinis: il termine pruina, -ae, può indicare sia la “brina” che, per metonimia, il “gelo” o “l’inverno”.

11 teritur: dal verbo tero, teris, trivi, tritum, terere, “sfregare, ususrare, consumare”.

12 Pieria tuba: il poeta ellenistico Teocrito definisce le Muse "Pieridi", poiché una tradizione collocava la loro nascita nella Pieria, in Macedonia; il nome di “Pimplee”, invece, deriva dal monte Pimpla, in Tessaglia: così esse sono ricordate da Foscolo nei Sepolcri.

13 Nella lettera proemiale del XII libro, composto in Spagna, il poeta parla di “provincialis solitudo” e rimpiange “illud materiarum ingenium, bibliothecas, theatra, convictus” e si dimostra insofferente nei confronti delle malelingue e dell’invidia della sua terra natia; in 12, 21 emerge chiaramente il rimpianto per Roma, definita “domina urbs”.

14 Romulus: Secondo la tradizione, Romolo, una volta divinizzato e assunto in cielo, si nutriva di un cibo semplice come le rape.