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Giovenale, “Satire”: introduzione e commento

Introduzione

 

Decimo Giulio Giovenale (50-60 d.C. circa - 127 d.C. circa) scrive sedici Satire di lunghezza diversa, raggruppate in cinque libri, pubblicati probabilmente tra il 100 e il 127 d.C., per un totale di quattromila esametri. I temi trattati da Giovenale sono svariati e appartenenti al classico repertorio della poesia satirica (già trattata in ambito latino da Lucilio, Orazio e Marziale): si va dall’indignazione per la corruzione dei costumi, alle invettive contro le donne, dai discorsi sulla moralità perduta e sulla necessaria moderazione delle passioni alla descrizione delle pervesioni umane (con un occhio di riguardo per la città di Roma).

La novità dell’opera di Giovenale non sta tanto nelle tematiche trattate, quanto nel modo e nello stile con cui il poeta le affronta. Infatti, se la satira precedente aveva guardato ai vizi umani con un sorriso ironico (si pensi all’oraziana Ibam forte via sacra o al tono salace ma non offensivo degli epigrammi di Marziale), ora Giovenale, di fronte alle corruzioni e alle turpitudini della società imperiale, decadente e corrotta, opta per la poetica dell’indignatio, con cui attacca frontalmente, con descrizioni minuziose e stilisticamente elaborate, la depravazione umana attorno a lui.

Le Satire di Giovenale, per lo stile “sublime” e la loro spiccata espressività hanno avuto molta fortuna presso i posteri, influenzando autori come Dante Alighieri (1265-1321), che lo nomina nel Canto XXII del Purgatorio 1, Francesco Petrarca (1304-1374), Ludovico Ariosto 2 (1474-1533), il Giuseppe Parini (1729-1799) del Giorno, Vittorio Alfieri (1749-1803) e il francese Victor Hugo (1802-1885).

 

Le Satire di Giovenale: tematiche e contenuti

 

Le Satire di Giovenale rispondono alla necessità dell’autore di esternare un’indignazione a lungo covata per lo stato in cui verte la società della Roma imperiale, corrotta e abietta. Proprio per garantirsi maggior libertà espressiva e tutelarsi dalle vendette, Giovenale confina i propri attacchi nel periodo storico da poco concluso dell’età di Domiziano (51-96 d.C.), il cui regno dall’81 al 96 d.C. si è appunto caratterizzato per la corruzione della corte imperiale e per le crudeli modalità di repressione. Tuttavia Giovenale, che sogna nostalgicamente il ripristino dell’antica moralità del mos maiorum, colpisce con la propria satira tutti gli strati sociali: dal cittadino romano che s’affanna disperatamente per conquistare beni materiali vani e superficiali al “cliente” che si umilia di fronte all’arrogante padrone, dal parvenu arricchito e volgare alla meschinità del vulgus, dalla moralità precaria dei letterati all’affarismo indiscriminato dei mercanti orientali. Particolarmente dure e senza appello le parole contro le donne, responsabili principali della corruzione dei costumi e del degenero della morale. Esplicito è quindi il rifiuto della poesia mitologica ed epica, incapace di penetrare nei meandri della vita quotidiana e di descriverli in modo realistico. A differenza di altri poeti satirici, però, quest’operazione non vuole tanto suscitare una reazione di scandalo morale nel lettore, quanto descrivere in maniera “alta” e drammatica l’avvilimento dell’uomo e della società.

Il grido di denuncia e di protesta di Giovenale si articola quindi come segue: un manifesto programmatico della poetica dei propri testi (l’indignatio), con la scelta esplicita di parlare dei morti per riferirsi in realtà ai vivi (satira 1); un attacco alla morale ipocrita dei filosofi, che sono incapaci di seguire i loro stessi precetti morali, con annesso il rimpianto per i valori degli antichi romani (satira 2); l’opposizione tradizionale tra la corruzione della città e la pace serena della campagna (satira 3); satira del consiglio imperiale di Domiziano, che si riunisce per deliberare come cucinare un gigantesco rombo (satira 4); un attacco al rapporto perverso che si instaura tra ricchi patroni e miseri clientes (satira 5); celebre satira sui costumi delle donne, il cui malcostume è un chiaro segnale che non conviene sposarsi, fino all’esempio scandaloso di Messalina (25-48 d.C), la moglie dell’imperatore Claudio (10-54 d.C.) nota per prostituirsi nottetempo nei peggiori bordelli di Roma (satira 6); un quadro sulla miserevole vita di letterati e maestri di grammatica (satira 7).

A questo primo gruppo di satire, in cui prevale il tono dell’indignazione risentita, ne fa seguito un secondo, in cui l’atteggiamento prevalente è quello del riso che irride i comportamenti e le deformazioni morali osservate dal poeta; il sarcasmo diventa così più distaccato e meno violento: una satira sulla superiorità della nobiltà morale rispetto a quella di sangue e di titoli (satira 8); un dialogo fittizio sul degrado dei costumi sessuali della Capitale (satira 9); le sventure di chi - anche famoso - ha inseguito grandi traguardi, senza accontentarsi delle piccole cose quotidiane (satira 10); satira contro l’usanza di banchetti sfarzosi (satira 11); attacco a chi cerca ipocritamente di procacciarsi ricchezze e beni materiali attraverso gli amici (satira 12); satira contro la disonestà, cui si collega sempre il rimorso della colpa (satira 13); satira sull’educazione dei figli, che acquisiscono sempre i vizi dei genitori (satira 14); descrizione truculenta di un episodio di cannibalismo avvenuto in Egitto 3 (satira 15); satira sui privilegi dei militari (satira 16).

 

Lo stile delle “Satire”

 

Per quanto riguarda lo stile, le Satire si avvicinano a quella tradizione satirica di cui già si erano fatti portavoce autori come Orazio, Persio e Marziale con i suoi epigrammi. I testi di Giovenale però sono concepiti su uno sfondo moraleggiante, che giustifica l’uso e la mescolanza di arcaismi e termini di registro elevato, di sermo vulgaris e di figure retoriche (dall’iperbole all’antitesi, dalla climax all’anafora e all’uso di sententiae, ovvero frasi epigrammatiche che riassumono la condanna dell’autore per il mondo circostante) che innalzano il grado stilistico del dettato e lo avvicinano all’espressionismo letterario. Giovanale modifica quindi la struttura del genere satirico e accosta le sue Satire più alla tragedia che alla commedia. Infatti sia per stile, sublime ed elevato, che per contenuto, grottesco e disperato, la sua poesia risponde ai canoni della poesia elevata, cui si affianca l’enfasi declamatoria, densa e giudicante, con cui egli attacca i suoi bersagli preferiti.

1 Purgatorio, XXII, vv. 13-15: “onde da l’ora che tra noi discese | nel limbo de lo ‘nferno Giovenale | che la tua affezione mi fé palese”. Il poeta latino è citato anche in alcuni passi del Convivio e della Monarchia.

2 Anche Ariosto fu autore di sette Satire.

3 È questa per Giovenale la dimostrazione dell’inefficacia e dell’inutilità della poesia epico-mitologica, in quanto la realtà supererà sempre anche la più sfrenata invenzione letteraria.