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Montale, “Giunge a volte, repente”: parafrasi, analisi e commento

Il quinto movimento di Giunge a volte repente (dopo liriche quali A vortice s’abbatte, Antico, sono ubriacato dalla voce, Scendendo qualche volta e Ho sostato talvolta nelle grotte) è il punto centrale di Mediterraneo: posizionato all'esatta metà delle nove liriche, contiene una risoluzione che diverrà definitiva dell'io lirico. Questa ha un carattere di rottura, sicuramente collegato ad un'inquietudine della persona parlante, che fa di questa lirica è il punto cruciale del poemetto: qui l'io lirico si distacca dal mare, cancellando ogni possibilità di unione panica.

L'unica alternativa possibile è quella di rifugiarsi in se stesso: ripiegamento che di sicuro non è immediatamente benefico, ma che almeno libera l’io lirico dal peso di una scelta decisiva. Rinunciando al mare, infatti, egli riacquista sì la sua propria identità ma deve accettare le responsabilità che ne derivano. Se l'unione panica, da un lato, prometteva la “sosta” e quindi la cessazione di ogni strazio esistenziale, dall'altro la rinuncia al panismo e l'autodeterminazione comportano sofferenza e logorio continui.

L'io lirico ripercorre il proprio cammino, quasi in cerca di un altro elemento naturale in cui immedesimarsi, e ritrova il pendio che ha sceso dirigendosi verso la spiaggia. Come già nei movimenti precedenti, ne osserva l'aridità e, in seguito, riflette anche sulla propria precarietà: il pericolo di crollo, confermato dalle frane frequenti ed inesorabili che lo divorano sempre di più, diventa il suo nuovo correlativo oggettivo.

Oltre alla frana, acquista un ruolo di primo piano anche la presenza vegetale, rappresentata dalla margherita e dall'agave. La prima, in cui l'io lirico ammette di immedesimarsi, nasce dall'arido suolo e diventa il simbolo che esprime il desiderio di rinascita; la seconda, che acquisterà ulteriore importanza più avanti negli Ossi, diventa emblematica della resistenza alla vita bruta. Il capovolgimento del rapporto con il mare si completa proprio grazie a questa figura, offesa di continuo dall'acqua e dai venti, ma sempre in prima linea pronta a lottare per sopravvivere. La forza che si cela dietro a questo desiderio di sopravvivenza, poi, prende la forma di “rancura”: nei confronti del mare, infatti, l'io lirico sente probabilmente una voglia di rivalsa tramite cui far valere la propria identità, emancipandosi così dal sospirato padre.

Metro: compresenza di vari metri, lunghi e brevi, tra cui il dominante è l’endecasillabo. È presente una rottura della misura versale al v. 21, dove compare un metro libero (ed una rimalmezzo ipometra) che è coerente all’idea della spaccatura di quei versi. Sono presenti meno enjambements rispetto alle liriche precedenti, quindi il rapporto tra metro e lingua è qui spesso coincidente. Dal tessuto fonico, infine, emergono diverse assonanze, consonanze e rime.

  1. Giunge a volte, repente,
  2. un'ora che il tuo cuore disumano
  3. ci spaura e dal nostro si divide 1.
  4. Dalla mia la tua musica sconcorda,
  5. allora, ed è nemico ogni tuo moto.
  6. In me ripiego, vuoto
  7. di forze, la tua voce pare sorda 2.
  8. M'affisso nel pietrisco
  9. che verso te digrada
  10. fino alla ripa acclive che ti sovrasta,
  11. franosa, gialla, solcata
  12. da strosce d'acqua piovana 3.
  13. Mia vita è questo secco pendio,
  14. mezzo non fine, strada aperta a sbocchi
  15. di rigagnoli, lento franamento 4.
  16. È dessa, ancora, questa pianta
  17. che nasce dalla devastazione
  18. e in faccia ha i colpi del mare ed è sospesa
  19. fra erratiche forze di venti 5.
  20. Questo pezzo di suolo non erbato
  21. s'è spaccato perché nascesse una margherita.
  22. In lei tìtubo al mare che mi offende,
  23. manca ancora il silenzio nella mia vita.
  24. Guardo la terra che scintilla,
  25. l'aria è tanto serena che s'oscura 6.
  26. E questa che in me cresce
  27. è forse la rancura
  28. che ogni figliuolo, mare, ha per il padre 7.
  1. Arriva a volte, all'improvviso,
  2. un momento in cui il tuo cuore che non è umano
  3. ci fa paura e si allontana dal nostro.
  4. Il rumore che fai vivendo è diverso dal mio,
  5. in quel momento, e ogni tuo movimento è contro di me.
  6. Resto solo con me stesso, privato
  7. delle forze, e la tua voce sembra non dire nulla.
  8. Mi fermo sul pietrame
  9. che scende verso te
  10. fino alla parete ripida e scoscesa sopra di te,
  11. che frana, gialla, percorsa
  12. da rigagnoli di acqua piovana.
  13. La mia vita è questo pendio arido,
  14. che è un mezzo e non un fine, una strada in cui si immettono
  15. quei rigagnoli, che poco alla volta frana.
  16. Ed è proprio, anche, questa pianta
  17. che nasce dalle frane
  18. e riceve su di sé le onde che si frangono ed è soggetta
  19. ai forti soffi dei venti che girovagano (per il mare).
  20. Questa parte di terreno su cui non cresce l'erba
  21. si è rotto affinché una margherita potesse germogliare.
  22. Guardandola penso al mare che mi offende,
  23. non c'è ancora silenzio nella mia vita.
  24. Guardo la terra che brilla per la luce del sole,
  25. l'aria è tanto chiara (a causa della luce) che diventa scura.
  26. E questo sentimento che cresce dentro di me
  27. è forse il rancore
  28. che ogni figlioletto, mare, ha per il proprio padre.

1 Divide: la presa di coscienza di Montale in questo momento è distruttiva (come già anticipato in Ho sostato talvolta nelle grotte): quasi come per recriminare il mare, apre la lirica osservando il momento in cui la volontà del mare e quella degli esseri viventi non collimano. A questo punto, il “cuore” del mare, personificato, viene detto “disumano”, creando un’antitesi: proprio a causa della “legge severa” a cui difficilmente si può sottostare, l'io lirico denuncia il sentimento che prova quando non si sente proiettato verso l'unione panica che tanto desidera. Si vedrà nei due versi subito successivi come il movimento ed il suono che questo produce saranno indicatori di divisione e discordanza, più che di aspirazione panica.

2 Sorda: abbandonata la possibilità di unione con il mare, all'io lirico non resta che se stesso. Notevole l'importanza di questo momento, traposto con un linguaggio fortemente latineggiante probabilmente utile ad esprimere la poesia che circonda il “pelago”, in quanto ciò che l'io lirico ha desiderato da quattro movimenti a questa parte viene qui fatto decadere. È indicativa, poi, l’ossimorica (e quasi personificata, tramite un processo per ipallage) “voce […] sorda”, ora ben lontana da una possibilità ermeneutica.

3 Piovana: ritorna la figura emblematica del sasso (già presente in Scendendo qualche volta e Ho sostato talvolta nelle grotte), inteso qui come nuovo corrispettivo di vita. Se prima si osservava il “ciottolo” in riva al mare, la pietra di adesso è quella che si trova sui pendii vicini al mare, simbolo di forte instabilità e aridità. Nonostante l'acqua piovana sia presente (pur non essendo l'accogliente acqua del mare, ma una minaccia poiché porta al franamento, come indica l’intessitura dei veloci enjambements), la dantesca e dannunziana “ripa acclive” martoriata dalla pioggia diventa il luogo privilegiato che questa lirica descrive, assurgendo così a terreno simbolico per l'io lirico. Da notare, ancora, è la pausa del cammino: se prima la descensio puntava alla spiaggia, ora si ferma su se stessa, esattamente come l'io lirico dice di fare, restando quindi in una pendenza perenne e precaria (sicuramente opposta, ad esempio, al potente vento di Arsenio, lirica con cui la presente condivide il fallimento panistico).

4 Franamento: questo è il momento centrale della lirica. L'io lirico compie un importante cambio di prospettiva, riconsiderando la propria vita e distaccandosi dal mare. Perdendo dunque il “fine”, non gli resta che il “mezzo” tramite cui la sua vita si possa compiere: il pendio non è quindi un luogo che avrebbe scelto per se stesso, bensì quello in cui è costretto a rimanere a causa dell'inesorabile precarietà esistenziale, di cui il metaforismo di base è qui ben sfruttato.

5 Venti: crollate le certezze anteriori, all'io lirico non resta che trovare un'altra possibilità correlativa: essendosi spostato sul pendio (che più avanti negli Ossi diventerà “scoglio”), egli osserva due fiori, l'agave e la margherita. Coerentemente alla lezione della Ginestraleopardiana, le due presenze floreali simboleggiano la forza che la vita ha di resistere all'asperità a cui sarebbe invece costretta. In particolare, l'agave è rappresentativa poiché tipica degli scogli marittimi e poiché incontra ogni difficoltà nel suo tentativo di sopravvivenza: oltre ai flutti marini, resiste anche ai venti che colpiscono la costa, restando ancorata alla vita. La sua resistenza (così come la voglia di vita della margherita che nasce dall'aridità) è paradigmatica per Montale, il quale non può che immedesimarsi in essa, descrivendone prima, in un accatastamento paratattico, le qualità.

6 Oscura: cessata l'osservazione del mare, del “giuoco di anella” di Scendendo qualche volta, lo sguardo ritorna all'osservazione del paesaggio ligure dell'entroterra. Si riscopre l'arsura montaliana di Meriggiare pallido e assorto, quindi, la stessa che nei precedenti testi degli Ossi era dovuta ad un sole tanto forte da sformare il paesaggio e cancellarne i colori, che la vista non era in grado di sopportare. Ecco quindi perché “l'aria […] s'oscura”, ricordando quindi il “velo” di A vortice s’abbatte.

7 Padre: Quasi come soffrisse del complesso di Edipo, l'io lirico riscopre una condizione comune all'umanità intera, rafforzata dall'assonanza di “mare” e “padre”, collegati in una rete metaforico-personificatoria. Il congedo dalla figura paterna va poco alla volta delineandosi e diventa sempre più forte, dando all'io lirico un'occasione di emancipazione e distacco dal principio a cuiprima tanto aspirava. Proprio come un figlio che vuole diventare indipendente, quindi, il soggetto si lamenta della potenza e della grandezza del mare, le quali non gli lasciano abbastanza spazio per maturare una propria identità.